di Stefan Vettori
Alcuni concetti metafisici fondamentali per comprendere il Feng Shui
Spazio e tempo
Che cos’è lo spazio? Che cos’è il tempo? Domande che, forse, hanno sfiorato tutti almeno una volta nella vita. La risposta non è scontata. In effetti, si tratta di concetti che stanno alla base di molte discipline. Un aspetto importante, quando si affrontano questi temi, è la semplicità della risposta. Trattandosi di argomenti basilari, è abbastanza spontaneo intuire che la loro comprensione dovrebbe essere molto semplice, se pur profonda. Per il Feng Shui, lo spazio è fondamentale nell’interazione tra l’uomo e l’esterno, intendendo come “esterno”, in prima battuta, ciò che è “al di fuori di noi”, in senso fisico. Anzi, è più corretto affermare che l’idea di ‘spazio’ è generata dalla mente nel processo di interazione tra interno ed esterno.
Il punto di riferimento
L’uomo si trova completamente a disagio in una situazione in cui non può relazionarsi “rispetto a qualcosa”. Per esempio, a livello fisico, rispetto ad un “punto di riferimento” esterno a sé (che potrebbe essere una montagna, una casa, un mobile, un dettaglio, che permetta alla parte più profonda di determinare “la propria posizione” nel mondo).
Per l’alto e il basso, il riferimento è il suolo e il cielo. Per muoversi, il riferimento deve essere un punto fisso. Per riconoscere un ambiente, dobbiamo partire da un riferimento iniziale, per esempio lo stipite di una porta, un oggetto, un angolo. L’assenza totale di punti di riferimento può portare l’essere umano a uno stato di estrema prostrazione, vomito, perdita della sensazione del corpo, perdita di coscienza. I “punti di riferimento” sono ciò che, momento per momento, ci legano alla realtà quotidiana.
La percezione ‘fisica’ dello spazio
In alto mare, con il fondo non visibile, permanendo a pochi metri di profondità, è possibile perdere completamente il senso di dove si è, complice anche la spinta di Archimede che tende ad annullare la gravità che, di per sé, potrebbe fornire un’informazione sulla direzione “basso” (e quindi anche “alto”). Questo capita soprattutto se a tale profondità ci si muove a caso in tutte le direzioni, tracciando velocemente alcuni cerchi con il corpo, in modo da perdere anche l’informazione della “direzione da cui si proviene”. Se non ci sono barche, boe, o altro, è possibile sentirsi di colpo senza riferimenti, abbandonati; può succedere di percepire un’improvvisa debolezza in tutte le parti del corpo, vomito, distacco dal corpo. È un’esperienza impegnativa: solo la direzione delle bollicine ci può aiutare – se abbiamo sufficiente lucidità mentale da pensarci.
Dal sonno alla veglia
Quando ci svegliamo – ma non siamo ancora completamente connessi con lo stato di veglia, la nostra mente “normale” non è ancora completamente in funzione. Se, dalla nostra posizione nel letto, scambiamo un dettaglio dell’arredamento con un altro, che ricordiamo altrove nella stanza, la posizione attuale ci sembra incongruente ed impossibile rispetto agli elementi fissi. Dopo qualche secondo, la mente “tenta” di far quadrare i conti, cercando una soluzione che salvi sia il ricordo della stanza, sia la percezione del momento.
Se il processo riesce, vedremo e percepiremo una stanza effettivamente diversa da quella in cui ci siamo addormentati – salvo poi rimettere tutto a posto quando l’ansia e la paura ci spingono a osservare meglio. Se invece il processo non riesce (e quindi la mente non riesce a creare l’immagine di un ambiente coerente e accettabile), si ha la sensazione di “slegarsi” dallo spazio fisicamente inteso. Tale sensazione per alcuni può essere abbastanza sgradevole, debilitante o paurosa; dopodiché ci riassopiamo, oppure ci muoviamo o ci costringiamo a portare una maggiore dose di attenzione alla mente conscia, riesaminare tutto l’ambiente con maggiore consapevolezza fino a far “quadrare i conti”.
Si può avere, per qualche attimo, la netta percezione di un esterno totalmente caotico, brulicante di campi e di forme energetiche, su cui la mente agisce per cercare un’interpretazione coerente, che ci permetta di relazionarci con il mondo.
Lo spazio come categoria ordinatrice della mente
Naturalmente, esistono molte tecniche (esoteriche e non) per accedere ad esperienze di questo tipo. Gli esempi citati sono abbastanza comprensibili per chi li ha vissuti. Per queste persone dovrebbe essere abbastanza chiaro che lo spazio non esiste “di per sé”, ma è una modalità con cui la mente percepisce ed ordina “l’esterno”. Quindi lo “spazio” non è al di fuori della mente, ma al suo interno. Lo spazio non è un oggetto, ma una modalità. Precisamente, dobbiamo dire che lo spazio è uno strumento della mente, imposto sull’esterno. È un canovaccio, una struttura o matrice di base che la mente genera ed utilizza come riferimento per incasellare la percezione degli oggetti, dei colori, delle forme. Si ritiene che questa forma di “interpretazione del non-sè” sia stata favorita dall’evoluzione naturale, permettendo così all’animale uomo la migliore relazione con l’esterno, al fine della sopravvivenza intesa in senso stretto (cioè, per la ricerca di cibo e l’individuazione di pericoli o predatori).
Lo spazio che “vediamo” o “percepiamo”, naturalmente non esiste: è semplicemente la rappresentazione interna che la nostra mente si dà dell’esterno. È fondamentale capire che in questo processo di percezione la nostra mente non è totalmente passiva come si pensava decenni fa (ricevendo quindi semplicemente gli stimoli esterni), ma ha un ruolo attivo nell’ordinare e incasellare gli stimoli esterni.
Le conferme degli antichi saggi taoisti
Nei primi giorni e settimane di vita di un bambino, la sua percezione dello spazio non è certo come quella di un adulto! Siamo noi adulti che addestriamo il bambino a percepire le cose in un certo modo e non in altri. A questo riguardo risulta particolarmente significativa una frase di Wang Yang Ming (1472-1529 circa): “Prendiamo questa stanza. Quando una persona vi entra per la prima volta scorge soltanto un’ampia configurazione indistinta. Dopo qualche tempo, scorge chiaramente le colonne, i muri e così via, una cosa per volta. Poco dopo ancora, scorge i piccoli dettagli, come le decorazioni sulle colonne, se ve ne sono. Ma la stanza non è altro che una stanza.”
Wang Yang Ming era riuscito a invertire questo processo che, dopo anni e anni di addestramento iniziato dalla nascita, diventa inconscio. La sua consapevolezza era sufficientemente pulita e veloce per posizionarsi all’origine della percezione.
La sequenza dei momenti genera il tempo
Così come lo spazio non è un “a priori” indipendente dall’uomo o dalla sua mente, anche il tempo non esiste “di per sé”. Lo spazio permette alla mente di organizzare l’insieme di percezioni di un istante; il tempo permette di ordinare tutti questi “fotogrammi” in una sequenza coerente. Di nuovo quindi il tempo è un prodotto della mente, uno strumento atto a fornire un metro di valutazione per le decisioni. La mente, quindi, è un’interfaccia tra l’Io e l’esterno, o “ciò che è”. Anche il tempo, quindi, non esiste di per sé, ma è una categoria o una modalità di funzionamento della nostra mente o, per meglio dire, del nostro processo energetico di percezione. Le ultime teorie della fisica sembrano confermare queste antiche intuizioni. In particolare, il tempo sembra non esistere a livello delle particelle subatomiche; il tempo sarebbe una ‘qualità’ che si può attribuire solamente ai macro-aggregati, cioè agli oggetti di una certa grandezza.
feng shui spazio tempo e vita
La chiave del controllo sulle ‘leggi naturali’
Sono concetti magari poco usuali, ma non così difficili. Si ritrovano in molte antiche interpretazioni della realtà, anche se in forma e con nomi molto differenti. Anche la moderna filosofia della scienza riconosce la validità di questo approccio. Va da sé che chi riesce a superare questa “barriera” di percezione forzata, secondo i testi magici ha accesso alla realtà profonda (“ciò che è”), dove le leggi fisiche (traduci: le leggi che noi pensiamo che governino il mondo) possono essere modificate e, a volte, violate. Se infatti i concetti di spazio e tempo stanno alla base di tutta la scienza sperimentale, ma non esistono di per sé essendo solo modalità di interazione della mente, andando oltre esse è chiaro che si può agire da una posizione ‘privilegiata’. Anzi per essere precisi dovrei dire “andando prima di esse”…
Un vaso di fiori
Questa concezione non è in contrasto con la scienza. Come si suole dire, “se ti metti gli occhiali verdi non ti devi poi stupire che il mondo sia verde”… cioè, accettando certi presupposti percettivi (perché li abbiamo assimilati dagli adulti e ce ne siamo poi dimenticati, rendendo questo processo inconscio), le osservazioni saranno congruenti con essi.
Un vaso di fiori colorati non esiste certo “là fuori”! È la rappresentazione che la mente si dà di quel certo “campo di energia” (non riesco a trovare un termine migliore). Tutto però depone a sfavore del fatto che quel vaso “esista” effettivamente o, se esiste, abbia proprio le qualità che gli attribuiamo con tanta certezza. E, si badi bene, non stiamo facendo alcun riferimento alle teorie scientifiche più moderne, spesso chiamate impropriamente in causa per giustificare le più strane idee new age.
In modo ancora più chiaro, Wang Yang Ming afferma anche: “Prima che guardiate questi fiori, essi e la vostra mente si trovano in uno stato di vacuità silente. Appena arrivate a guardarli, i loro colori vi si mostrano, di colpo, chiaramente. Da ciò potete apprendere che questi fiori non sono esterni alla vostra mente.”
Più chiaro di così…
La profondità del pensiero taoista
Seng Chao (348-414 circa) si spinge oltre: “Le diecimila cose [= il mondo, il creato] esistono perché non esistono. Esistono, perché non si può dire che siano inesistenti. ‘Esistono perché non esistono’ significa che, benché esistano, non si può dire che esistano. ‘Esistono, perché non si può dire che siano inesistenti’ significa che, benché siano inesistenti, non si può dire che siano inesistenti. Benché siano inesistenti, non si può dire che siano inesistenti: il termine ‘inesistenza’, in questo caso, non esclude che il vuoto sia la vera natura. Benché esistano, non si può dire che esistano: il termine ‘esistenza’, in questo caso, non significa ‘esistenza reale’.”
Affermazione decisamente sibillina per molti, ma banale per chi ha fatto certe esperienze con il corpo; molti commentatori si sono arrampicati sugli specchi per darne un’interpretazione sensata! Ma, alla luce di quanto detto, in effetti non c’è alcunche da interpretare… Seng Chao non sta parlando per enigmi: sta parlando apertamente. Ed è anche evidente la difficoltà che prova nel trasmettere questo concetto. Ciò è prova di buona fede, e del fatto che nella modalità non-duale di funzionamento della nostra mente è molto difficile articolare un discorso. E tutto questo ci porta al concetto di “conoscenza silenziosa”, cioè la conoscenza che non può essere trasmessa a parole ma solo con gli atti, il massimo segreto degli esperti di Feng Shui. La conoscenza mentale, parlata, inibisce e uccide la conoscenza silenziosa. Ciò è stato dimostrato recentemente in alcuni esperimenti scientifici che hanno fatto scalpore. Per esempio, descrivere a voce alta on oggetto inibisce le nostre capacità di disegnarlo.
Comprensione mentale e comprensione fisica
Naturalmente, non tutti possono comprendere questi ragionamenti in modo completo. Dipende dal grado di evoluzione della persona, dalla sua apertura mentale, dall’assenza di dogmatismi di qualunque tipo, e dal momento stesso. Quando parlo di “comprensione”, non intendo la comprensione intellettuale, ma la comprensione dell’esperienza: ciò che si sa con il corpo, non con i pensieri. Inoltre, occorre avere qualche minimo ricordo di esperienze di questo genere, altrimenti si rischia di stare tra gli “sciocchi che parlano, mentre i saggi tacciono”. Come leggere tanti libri sulla boxe non ti farà diventare un boxeur, così parlare di queste cose senza “pensarle con il corpo” è vano.
La non-dualità
Ponendosi “prima” che la mente organizzi l’esterno con lo spazio/tempo, si è nel “non luogo – non tempo”, che non è un luogo che non esiste, ma è anche un luogo che non esiste: detto in altro modo è una posizione della consapevolezza, “anteriore” all’applicazione della modalità spazio/tempo. Naturalmente, non nel senso che è temporalmente prima di essi (se non c’è il tempo, non ci può essere nemmeno un prima!), ma è un a priori in senso assoluto, un salto della consapevolezza. Anzi di nuovo mi correggo: dovrei dire “un ritirarsi della consapevolezza”.
È probabile che anche le argomentazioni del filosofo greco Zenone, sull’inesistenza del moto, si richiamassero a questa situazione. Nel “non luogo” non vi può essere moto, perché il moto presuppone un movimento da un punto ad un altro, e quindi uno spazio e anche un tempo. Dunque, nel “non luogo” tutto è immobile… Inoltre, nel “non luogo” si è anche “al di fuori del tempo”, non prima, né dopo, ma “esternamente ad esso”. Perciò, il “non luogo” è in realtà un “non luogo – non momento” o una “non esistenza [della mente ordinatrice]”.
Il filosofo greco Parmenide espresse gli stessi concetti in modo più sintetico ed ermetico affermando “l’essere è, il non essere non è”, affermazione che purtroppo se considerata a solo livello mentale porta a una comprensione errata. Capire una cosa a livello mentale è come vederla in due dimensioni, capirla a livello fisico è come vederla in tre dimensioni. Si aggiunge la profondità… E la profondità permette di andare dentro, o ritirarsi.
Non fate troppo caso questo articolo, sono un po’ pazzo. Del resto, le cose sono così come sono. 🙂
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